Come tutti gli ambienti, anche in quello degli elettrodomestici circolano straordinarie leggende. Storie di separazioni, ricongiungimenti e fedeltà estremi. Come quella, toccante, della termocoperta appartenuta alla grande attrice islandese G.G., che smise di funzionare il giorno in cui la padrona passo a miglior vita. O quella, luciferina, del phon di proprietà del celeberrimo coiffeur A.L. che, rubato da un allievo invidioso, saettò di rabbia, infiammando la capigliatura di una duchessa.
Il fatto è che – come tutti gli ingegneri sanno, ma fingono di non sapere – la tecnologia, con tutta la sua apparenza di freddezza ed efficienza, è in realtà sensibilissima, nervosa e terribilmente femminile.
Insomma, come scritto nella sua P. McE., prima donna CEO della storia: “Le macchine sono inguaribili sentimentali”.
A tal proposito, C.C. nel corso del colloquio afferma: “Nei confronti degli elettrodomestici esistono ancora molti pregiudizi: li si considera gelidi automi, mossi dall’imperativo della funzionalità. Io stessa, tempo fa, sono stata vittima di questo luogo comune. Insomma, pensavo che un forno dovesse limitarsi a polli e lasagne, non so se mi capisce…”. Quindi, dopo avermi studiato un attimo con qualche diffidenza, aggiunge: “Invece, i meccanismi di queste macchine sofisticate percepiscono tutto… Vede, anni fa, attraversai un periodo di grande turbolenza. Era il cuore: si agitava per ogni sciocchezza. Ma non mi sarei mai accorta di nulla, se non fosse stato per i miei elettrodomestici”. Iniziò il frigorifero. Dominata fin dall’infanzia dal vivo senso cromatico, C.C. era solita organizzarla per colore: prima i vegetali rossi, arancioni e gialli; poi quelli verdi, dal più scuro al più chiaro; infine gli azzurri, il blu il viola (susine, mirtilli, melanzane). “Cominciai a trovarli disposti in ordine cronologico, come latticini, le uova, e i sottaceti: un fatto inspiegabile… come se, nottetempo, una mano misteriosa si divertisse a scombinarli. Capì immediatamente che qualcosa non andava”. Poi, fu la volta della lavastoviglie: sembrava che il sale e il brillantante non bastassero mai. Ogni due giorni era tutto un lampeggiare di spie. “Anziché in cucina, la notte, sembrava di essere al luna park. Era chiaro: bruciava energia e speranze, in attesa di chissà quale meraviglioso evento”.
Ma fu la lavatrice la goccia che fece traboccare il vaso: una sera, mentre C.C. alla televisione guardava Titanic, ci fu uno schianto improvviso. Da pochi minuti, l’iceberg e la prua del transatlantico erano entrati in collisione: l’oceano cominciava a insinuarsi dappertutto. E mentre l’acqua saliva, il protagonista scendeva nel ventre della nave dove il suo cuore era rimasto prigioniero.
“Mi voltai di scatto e sotto la porta vedi luccicare un rivolo d’acqua. Mi alzai, corsi per il corridoio allagato e apri la porta del bagno: la lavatrice traboccava. Il congegno idraulico aveva ceduto alla tensione emotiva”. Per asciugare quel fiume lacrime, ci vuole qualche ora. “Fu proprio mentre passavo lo straccio che, riflettendo su quegli strani accadimenti, cominciai a capire. Andai al computer e, alla luce tremolante dello schermo, mi si rivelò la verità. In tutti i disegni degli ultimi mesi riscontrai gli stessi allarmanti segnali: torta di nozze multipiano, signorine ammaliate da quadri raffiguranti forni incasso, giovani Eve provocanti in paradisi domestici. Insomma, ha capito…”, sospira C.C., “sognavo l’altare”. E, poco dopo, vi andò: condotta dal suo amatissimo marito. Un ingegnere, credo.
Giovanna Zoboli da “Operex”, Abitare Segesta, Milano, 2002
ISBN 88-86116-49-7